Intervista a Simonetta Tassinari

Intervista a Simonetta Tassinari

 

1. Insegnare filosofia a distanza: parlaci della tua esperienza sul campo

La risposta a un evento inaspettato- chi mai avrebbe immaginato, a inizio anno, che la scuola “normale” si sarebbe bruscamente interrotta di lì a pochi mesi?- non può che essere improntata a un certo empirismo: tutti noi docenti i galloni ce li siamo guadagnati sul campo, provando, inventando, confrontandoci, tentando varie strade ed eliminando modalità che magari, in un primo momento, sembravano promettenti. Si può dire che ognuno di noi si sia creato un proprio metodo, a seconda della piattaforma o della tecnologia utilizzata (Zoom , Skype, Google meet, audio e video messaggi Whatsapp, Powerpoint e così via) e, naturalmente, anche a seconda della disciplina e del proprio stile di insegnamento. La mia cattedra comprende anche la Storia, e devo ammettere che in questo caso le difficoltà sono state senza dubbio minori. La particolarità della filosofia, che “tratta” le idee, i pensieri e il loro sviluppo, è fortemente ancorata a un insegnamento in presenza, perché sono i visi, sono le espressioni, sono le domande a caldo dei ragazzi a farci comprendere se il passo è quello giusto, se l’esempio è calzante e se, come direbbe Seneca, stiamo facendo sì che “le orecchie né si tendano né si chiudano”, tenendo desta l’attenzione e favorendo la comprensione. Mi sono, di volta in volta, anche avvalsa di Power point esplicativi, e ho tenuto aperto-continuamente- uno speciale “canale” per le domande più meditate, a cui rispondevo per iscritto nella chat di classe. Ho limato alcuni argomenti, ne ho preferiti altri, ho apportato qualche necessario cambiamento alla programmazione. Le prove di verifica (generalmente su Skype) mi hanno molto confortata: anche grazie alla grande adattabilità dei ragazzi, e a un loro innegabile sforzo, è andata bene perfino con Hegel…e ho detto tutto!

2. Il pensiero filosofico, in che modo può aiutare i ragazzi?

I filosofi sono stati- e sono- gli “specialisti” del pensiero, persone che si sono dedicate alla cura della razionalità, alla sua esplicazione, al suo potenziamento, e ne hanno fatto il compito e lo scopo della loro vita. In altri termini, i filosofi fanno assiduamente e con metodo ciò che noi- che filosofi di professione non siamo- facciamo di tanto in tanto, occuparci dei nostri pensieri cercando di renderli più chiari e anche più potenti, nelle questioni astratte così come in quelle pratiche che necessitano di una scelta e di un “sì” o di un “no”. La prima e fondamentale finalità dell’insegnamento scolastico della filosofia è proprio questa: la cura dei propri pensieri e l’abitudine a interrogarsi (e a interrogare). Ma lo studio della filosofia – sapere non cumulativo, in cui ogni volta, in un certo senso, si ricomincia daccapo- rende palese anche la necessità di ragionare con la propria testa, di non nutrire la pretesa di trovarsi nel vero assoluto, di non imporre a nessuno di pensarla come noi. Per di più insegna a praticare il dubbio, una vera e propria leva della conoscenza.

3. Il metodo di indagine filosofico in quali ambiti può essere o dovrebbe essere maggiormente applicato?

Poiché la filosofia insegna a “pensare da sé” (l’ideale di Immanuel Kant, ad esempio, ma anche dell’Illuminismo in generale), insomma ci conduce al pensiero critico, il suo metodo può essere applicato in ogni campo o settore dell’attività umana. Non riesco a concepirne nessuno nel quale ragionare con rigore e logica non potrebbe rivelarsi utilissimo, dall’etica alla scienza, dalle relazioni interpersonali all’ auto- conoscenza, dall’economia- e ovviamente dalla politica- fino allo sviluppo della propria personalità. Peraltro, ad esempio, una delle più vivaci tematiche attuali, il multiculturalismo, che cos’altro è, se non una questione filosofica? Anche quando si sente dire, talvolta, “è una questione culturale”, sempre di filosofia, in fondo, si sta parlando…

4. Quali nuovi correnti filosofiche contemporanee consiglieresti di seguire?

Molte correnti filosofiche attuali sono da tenere d’occhio. La filosofia sta vivendo un buon momento, anche nel senso dell’interesse che suscita e del grande successo di una stampa filosofica per non specialisti, divulgativa e di formazione. Tra gli altri, il pensiero ambientalista è estremamente interessante, anche nei suoi aspetti più radicali come la cosiddetta “ecologia profonda”. La bioetica, ugualmente, è una tematica attualissima, di continuo confronto tra i diversi orientamenti. Globalizzazione e antiglobalismo animano numerosi dibattiti. Mi piace segnalare anche il nuovo filone della filosofia di Internet, che non può essere trascurato: come scrive Umberto Galimberti, la stessa razionalità umana ha subito e sta subendo enormi cambiamenti, perché la tecnologia è ormai “l’ambiente” dell’uomo. Notevole mi sembra anche la filosofia “di genere”, o “pensiero della differenza”, che ha assunto questo nome dall’opera della filosofa Luce Irigaray. Aggiungerei la consulenza filosofica e la filosofia per bambini, che, sorte in area anglosassone, stanno ottenendo ottimi risultati anche da noi.

5. Se avessi la possibilità di incontrare il Ministro dell’istruzione per parlare della scuola del futuro, quali suggerimenti le daresti?

Lo inviterei, innanzitutto, a trascorrere un po’ di tempo a scuola-un mese, magari, come se si trattasse di una specie di stage– partecipando alle lezioni, agli incontri collegiali, agli scrutini, alle attività complementari nei tre ordini della scuola italiana, prendendo addirittura posto in classe. Per guardare, osservare, ascoltare, assorbire. Il presente è già ricco di futuro, specie nel caso dei ragazzi: anzi, i ragazzi stessi sono già futuro, vivono più nel domani che nell’oggi, sono attentissimi a cogliere ogni sfumatura di quel che si sta muovendo, che ancora non è nell’aria ma presto arriverà. E quel che arriverà, o che- nel mio parere- dovrebbe arrivare nella scuola del futuro, senz’altro comprende un uso maggiore del Web e una sua introduzione stabile nella didattica, ma senza abbandonare né la lezione frontale, né il cartaceo. Il libro tradizionale rassicura i ragazzi, rappresenta un approdo, ci si affezionano, lo vivono, lo sottolineano, lo possiedono, vi inseriscono una parte di sé, perché il libro è uno strumento “caldo”. Qualche mio alunno mi ha detto: “Quando sottolineo il libro, e lo sfoglio, mi sembra di capire meglio, lo sento più mio”, e la parte emozionale svolge un gran ruolo nell’apprendimento. Tuttavia nella scuola del futuro- e certamente ne parlerei con il Ministro dell’istruzione- immagino anche una minore rigidità nei programmi di studio, la presenza, accanto alle materie di indirizzo, e perciò istituzionali, di altre tra le quali poter scegliere, in modo da personalizzare la formazione a seconda degli interessi e delle prospettive. In altri termini, un piano personalizzato, come si è sempre fatto all’università, sul quale poter ritornare, l’anno successivo, con le modifiche che potrebbero essersi rese opportune alla prova dei fatti.

3 Comments
  • Luciana&Giulio
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    Posted at 1:18 pm, Giugno 13, 2020

    Ritengo l’intervista molto interessante e vorrei proporre alcune riflessioni sugli argomenti trattati.La prima è sulla scuola a distanza.
    Assodato che la scuola a distanza non possa sostituire la scuola in presenza, vorrei tuttavia spezzare una lancia a favore della prima.
    Credo infatti che questo “esperimento di DAD” abbia lasciato a tutti qualcosa in più e non mi riferisco solo alla cresciuta competenza nell’uso della tecnologia.
    Insegnare a distanza certamente non permette di avere il polso della situazione-classe come in presenza. Mi riferisco agli sguardi attenti che dimostrano comprensione e partecipazione emotiva, a quelli smarriti che impongono di riformulare il discorso in maniera più chiara, a quei giochini sotto il banco che fanno capire che il tempo della spiegazione sta per terminare, ma…
    Ma la scuola a distanza, a mio parere, per certi aspetti ci mette in contatto in un modo più profondo: ci “stana”, rivelando agli altri quella parte di noi che a scuola non sempre si vede.
    Ricorda al maestro che l’allievo porta dentro di sé la sua casa e la sua famiglia e mostra all’allievo che il maestro è più vicino, lì sullo schermo, proprio a casa sua. E allora mi chiedo quanti ragazzi di nascosto abbiamo ingrandito l’immagine per vedere bene il volto e la mimica facciale di un insegnante durante una spiegazione, come per conoscerlo meglio, quasi a voler entrare nei suoi pensieri…per capire chi realmente fosse.
    E lì,da quelle le rughe d’espressione, dal tono di voce usato per cercare di arrivare a tutti, sì proprio lì dallo schermo, il maestro ha avuto l’opportunità di trasmettere la sua passione, come e più che in classe. La passione per l’insegnamento, quella vera, la ragione della scelta del mestiere più bello del mondo. E la passione, si sa,è contagiosa: accende nell’allievo il desiderio di apprendere, la fiducia per perseverare e riuscire e quindi l’attitudine di imparare ad imparare.
    Chissà in questo periodo di DAD quanti allievi hanno avuto la fortuna di percepire questa passione nei loro insegnanti!
    Qualcuno ha definito la DAD scuola per la vicinanza e io sono d’accordo:vicinanza per passione.

  • Luciana&Giulio
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    Posted at 2:53 pm, Giugno 14, 2020

    In totale accordo con quanto esposto da Simonetta Tassinari, vorrei proporre un’ ulteriore breve riflessione sulla Filosofia nella crescita del bambino e quindi sulla sua rilevanza nella scuola dell’Infanzia e Primaria.
    Fin da piccoli i bambini imparano a ragionare sulla realtà e sui loro pensieri, se incoraggiati dagli adulti che si dedicano al loro benessere.
    Tutto nasce dal primo ”perché?”.
    Quando l’ho sentito dire al mio nipotino più piccolo circa un mese fa, a poco più di due anni, mi sono emozionata. Ho chiesto alla mamma se poteva registrare la sua vocina quando l’avesse detto un’altra volta, così adesso, al bisogno, ascolto il suo vocale dal mio cellulare. Con il primo perché nasce un nuovo potenziale filosofo. Tutto dipende dalle risposte di mamma e papà. In seguito se ne potrà occupare la scuola. Come? Con l’esercizio riflessivo, con l’apertura mentale alle domande e ai punti di vista insoliti e con l’incoraggiamento all’uso dei sensi per non smettere di conoscere e meravigliarsi. Tutto ciò (e altro ancora) vissuto come un gioco, seppur con regole precise, potrà condurre gradualmente il bambino all’ abitudine alla critica eseguita con argomentazioni tendenti al superamento dell’ovvietà, madre della noia. Se un bambino si annoia a scuola non è sempre perché le maestre fanno cose troppo semplici per lui, ma probabilmente è perché non è stato abituato a far “esercizio di pensiero”.
    http://www.raiscuola.rai.it/articoli/remo-bodei-lovviet%C3%A0-e-la-noia/4691/default.aspx

  • Miranda Picotto
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    Posted at 2:05 pm, Luglio 3, 2020

    Alle osservazioni di Luciana&Giulio, che condivido, vorrei solo aggiungere che i ragazzini negli ultimi anni della scuola Primaria iniziano a far uso l’uso del “perché” non sono nell’accezione di richiesta di spiegazioni per approfondire delle conoscenze, ma anche nella accezione “argomentativa”.: A sostegno e motivazione,cioè, di una propria opinione o punto di vista, all’interno di una discussione su uno specifico argomento.

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